martedì 10 febbraio 2009

Cartoline dalla Dalmazia

Porta Terraferma - Zara
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Chi conosce, chi sa, vede.
Chi ha la mia stessa sensibilità, intesa come modo di sentire, capisce.
Per tutti gli altri, solo una bella Cartolina dalla Dalmazia.
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La memoria, l'identità, la consapevolezza sono parte di una ricchezza a cui nessuno deve rinunciare, un popolo è come un uomo, è oggi ciò che ha vissuto ieri, sarà domani quel che è oggi e che è stato ieri in una sorta di filo conduttore che somma i giorni a ciò che è accaduto. Se c'è qualcuno che pensa di privare altri esseri umani di questo patrimonio commette un errore terribile, un torto imperdonabile.
E' poi la Storia che rende giustizia e che cancella questa scelleratezza. Quanto può vivere un uomo? Cento anni? Dopo questi cento anni la memoria, l'identità, la consapevolezza e la Storia renderanno, a chi l'aspetta, giustizia, di torti ed abusi. Cento anni non sono nulla di fronte ai secoli, la vita di un uomo è una parte infinitesimale di una Storia che unisce generazioni e che lascia tracce inequivocabili, nella pietra, sulla carta, nella parola, nelle tradizioni e nel ricordo che si tramanda dai padri ai figli. Non c'è domani senza ieri.

Mando questa Cartolina a chi sa, a chi conosce, a chi ha visto o vuol vedere, per tutti gli altri solo una bella cartolina dalla Dalmazia.

domenica 25 gennaio 2009

Disimparare Noi


“Vi è un’età in cui si insegna ciò che si sa; ma poi ne viene un’altra in cui si insegna ciò che non si sa:questo si chiama cercare.
Ora è forse l’età di un’altra esperienza : quella di disimparare, di lasciar lavorare l’imprevedibile rimaneggiamento che l’oblio impone alla sedimentazione delle cognizioni, delle culture, delle credenze che abbiamo attraversato” ROLAND BARTHES


Ho imparato ad aspettare. L’arte del non fare.
Aspetto che le cose accadano, cerco di non opporre resistenza. Cerco. Sono stanca di remare tra i marosi alti, contendendo al destino le rotte. Voglio essere, no percepirmi, si voglio percepirmi leggera e, come una foglia trasportata dal vento, o un petalo, inconsapevole di quel che la fortuna ha in serbo per me. Di quella inconsapevolezza che rende imprudente chi ancora non ha vissuto e non ha dovuto piangere. Lascerò che nuove lacrime solchino il mio viso, lacrime più trasparenti di un cristallo, poco dense, lacrime dal sapore mai provato. Lacrime che non fanno paura, come quelle di un bambino.
Spettatrice, per una volta. Attrice che smesso il costume è ansiosa di tornare a casa, casa mia, e toglie il trucco di scena con gesti rapidi e precisi. Dimenticando la parte posso improvvisare e senza timore di ripetermi ritrovarmi nuova. Per me, solo per me.
Mi pongo di fronte alla vita come polena di fronte al mare, immobile e pur volubile su tormentate onde, issata su albero di bompresso che non ho cercato ma a cui mano artigiana mi ha saldato, vedo per prima la terra ma ne godo silenziosa in attesa che il mio nocchiero l’annunci per me.
Pervicace. Ostinata nel mio non voler essere ostinata.
Un oblio leggero si è posato su di me è come quando uno strato sottile di neve fresca si posa ovunque e non lascia più intravedere quel che è trascorso. Chi è passato non può più trovare le sue tracce, ogni riferimento si perde, si riempiono gli avvallamenti, si livellano le asperità. Mutano le prospettive
Ci puoi camminare senza fare rumore, in questo mio giardino innevato, puoi lasciare le tue tracce ora. Le riconoscerò e saranno le sole. Posso seguirle agilmente, se molta neve sarà caduta notte tempo.
Passeranno i giorni e le stagioni, farò in modo che quella neve non si sciolga, succederà che una gelata improvvisa, tardiva, se pur nel tempo della primavera lasci immutate e sempre uguali a se stesse le tue orme. Solo questo farò. Questo e, come quando ero bambina, giocherò a solcare quelle tue orme camminandoci sopra, senza rendere visibili le mie, che sono piccole e più leggere.

venerdì 23 gennaio 2009

Sono la luna



Io sono la Luna.
Vuoi sapere chi sono, ma stasera sono così lontana dalle tue parole, dalla tua logica, dal pensiero discorsivo, dalla ragione. Vivo la mia dimensione solitaria. Sono il mistero dove ha inizio ogni conoscenza profonda, sono l’Amore. Quando ti immergi nelle mie acque silenziose, nel mio mare calmo senza chiedere nulla, senza cercare di capire, di definire, allora io divento Amore. Più entri dentro di me e più ti attraggo, ti trattengo.
Mi estendo nel regno dell'ombra, nascendo da est, sono luce nell'ombra, luce d'immensa ricchezza, contengo tutti i totem, gli dèi dei tuoi avi, i tesori dei tempi passati e dei tempi futuri .Sono tutti insieme gli arcani del mondo. Sono la Madre e al di la dell'inconscio sono la creazione stessa. Sono la Dea.
Sono cuore d'argento nelle viscere buie della notte.
Sono la dimensione della follia, la solitudine assoluta, il freddo delirio.
Sono.
Sono il bianco siderale nel silenzio che è eternità.
Sono una concavità infinita, una bocca spalancata.
Non sono luce che illumina ma luce che genera.
Non indico, genero soltanto. Sono ricezione totale.
Non darmi una definizione, la fuggirei.
Amami solamente
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giovedì 22 gennaio 2009

Cartoline dalla Venetia libera

Canaletto - chiesa di San Zeminian (fronte San Marco)


No, non andate col pensiero all'ultima volta che siete stati a Venezia.

Non cercate di ricordarla, non potete averla vista.
Ché l'opera del Sansovino venne distrutta nel 1807 per ordine di Napoleone che potè così edificare in luogo una sala da ballo. Non fu l'unica vittima di Napoleone che nella Venetia diede sfogo alla sua più cieca furia distruttrice abbattendo chiese, palazzi, interi quartieri, simboli. Deprendando le nostre città di opere di immenso valore artistico.
Dopo il danno la beffa: il comune di Venezia qualche anno fa acquistò una statua dell'infame caporale corso per esporla al Correr, un'opera di dubbio valore tralaltro. Come è possibile tale onta? E' come se a Norimberga qualcuno pensasse di esporre la statua di Julius Streicher.

mercoledì 21 gennaio 2009

Carne di lupo































A volte mi credono una di loro. Mi diverto anche a imitarli, ma non sarò mai loro.
Sono fuori.
Indosso la maschera la mattina. La tolgo la sera.
Loro non conosceranno mai il mio cuore, a loro consento solo di vedere la facciata. Non mettono mai le mani nella sostanza, nella carne, non annusano mai il sangue. Mi alleno a sopravvivere mentre mi muovo guardinga in mezzo a loro. Senza amarli, con quella rabbia necessaria a tenermi in piedi.
Anestetizzati i sensi, rimangono robot programmati per arrivare; perso l'istinto non sanno muoversi se non nell'unico ambiente che conosco bene: l'ambiguità.
Non ho più la pelliccia, le mie orecchie ritte si sono abbassate , la mia coda è ben nascosta sotto i vestiti, ma il mio cuore è quello di un lupo, anche la carne. La sera torno a dormine nella mia tana, rannicchiata nei miei sogni, li c'è un freddo buono, quello secco che non fa marcire le carni. Non il caldo artificiale di neon accecanti, non il caldo finto di finte amicizie che sono connivenze, di una condivisione che è interesse.
Unica prospettiva: sopravvivere
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