.jpg)
“Vi è un’età in cui si insegna ciò che si sa; ma poi ne viene un’altra in cui si insegna ciò che non si sa:questo si chiama cercare.
Ora è forse l’età di un’altra esperienza : quella di disimparare, di lasciar lavorare l’imprevedibile rimaneggiamento che l’oblio impone alla sedimentazione delle cognizioni, delle culture, delle credenze che abbiamo attraversato” ROLAND BARTHES
…
Ho imparato ad aspettare. L’arte del non fare.
Aspetto che le cose accadano, cerco di non opporre resistenza. Cerco. Sono stanca di remare tra i marosi alti, contendendo al destino le rotte. Voglio essere, no percepirmi, si voglio percepirmi leggera e, come una foglia trasportata dal vento, o un petalo, inconsapevole di quel che la fortuna ha in serbo per me. Di quella inconsapevolezza che rende imprudente chi ancora non ha vissuto e non ha dovuto piangere. Lascerò che nuove lacrime solchino il mio viso, lacrime più trasparenti di un cristallo, poco dense, lacrime dal sapore mai provato. Lacrime che non fanno paura, come quelle di un bambino.
Spettatrice, per una volta. Attrice che smesso il costume è ansiosa di tornare a casa, casa mia, e toglie il trucco di scena con gesti rapidi e precisi. Dimenticando la parte posso improvvisare e senza timore di ripetermi ritrovarmi nuova. Per me, solo per me.
Mi pongo di fronte alla vita come polena di fronte al mare, immobile e pur volubile su tormentate onde, issata su albero di bompresso che non ho cercato ma a cui mano artigiana mi ha saldato, vedo per prima la terra ma ne godo silenziosa in attesa che il mio nocchiero l’annunci per me.
Pervicace. Ostinata nel mio non voler essere ostinata.
Un oblio leggero si è posato su di me è come quando uno strato sottile di neve fresca si posa ovunque e non lascia più intravedere quel che è trascorso. Chi è passato non può più trovare le sue tracce, ogni riferimento si perde, si riempiono gli avvallamenti, si livellano le asperità. Mutano le prospettive
Ci puoi camminare senza fare rumore, in questo mio giardino innevato, puoi lasciare le tue tracce ora. Le riconoscerò e saranno le sole. Posso seguirle agilmente, se molta neve sarà caduta notte tempo.
Passeranno i giorni e le stagioni, farò in modo che quella neve non si sciolga, succederà che una gelata improvvisa, tardiva, se pur nel tempo della primavera lasci immutate e sempre uguali a se stesse le tue orme. Solo questo farò. Questo e, come quando ero bambina, giocherò a solcare quelle tue orme camminandoci sopra, senza rendere visibili le mie, che sono piccole e più leggere.
Ora è forse l’età di un’altra esperienza : quella di disimparare, di lasciar lavorare l’imprevedibile rimaneggiamento che l’oblio impone alla sedimentazione delle cognizioni, delle culture, delle credenze che abbiamo attraversato” ROLAND BARTHES
…
Ho imparato ad aspettare. L’arte del non fare.
Aspetto che le cose accadano, cerco di non opporre resistenza. Cerco. Sono stanca di remare tra i marosi alti, contendendo al destino le rotte. Voglio essere, no percepirmi, si voglio percepirmi leggera e, come una foglia trasportata dal vento, o un petalo, inconsapevole di quel che la fortuna ha in serbo per me. Di quella inconsapevolezza che rende imprudente chi ancora non ha vissuto e non ha dovuto piangere. Lascerò che nuove lacrime solchino il mio viso, lacrime più trasparenti di un cristallo, poco dense, lacrime dal sapore mai provato. Lacrime che non fanno paura, come quelle di un bambino.
Spettatrice, per una volta. Attrice che smesso il costume è ansiosa di tornare a casa, casa mia, e toglie il trucco di scena con gesti rapidi e precisi. Dimenticando la parte posso improvvisare e senza timore di ripetermi ritrovarmi nuova. Per me, solo per me.
Mi pongo di fronte alla vita come polena di fronte al mare, immobile e pur volubile su tormentate onde, issata su albero di bompresso che non ho cercato ma a cui mano artigiana mi ha saldato, vedo per prima la terra ma ne godo silenziosa in attesa che il mio nocchiero l’annunci per me.
Pervicace. Ostinata nel mio non voler essere ostinata.
Un oblio leggero si è posato su di me è come quando uno strato sottile di neve fresca si posa ovunque e non lascia più intravedere quel che è trascorso. Chi è passato non può più trovare le sue tracce, ogni riferimento si perde, si riempiono gli avvallamenti, si livellano le asperità. Mutano le prospettive
Ci puoi camminare senza fare rumore, in questo mio giardino innevato, puoi lasciare le tue tracce ora. Le riconoscerò e saranno le sole. Posso seguirle agilmente, se molta neve sarà caduta notte tempo.
Passeranno i giorni e le stagioni, farò in modo che quella neve non si sciolga, succederà che una gelata improvvisa, tardiva, se pur nel tempo della primavera lasci immutate e sempre uguali a se stesse le tue orme. Solo questo farò. Questo e, come quando ero bambina, giocherò a solcare quelle tue orme camminandoci sopra, senza rendere visibili le mie, che sono piccole e più leggere.